GDPR: la consapevolezza c’è, ma la confusione non manca

Una nuova ricerca di Trend Micro sul GDPR mostra come i C-level Executives non si stiano approcciando alla nuova normativa con l’adeguata serietà.

Il General Data Protection Regulation (GDPR) entrerà ufficialmente in vigore il 25 maggio 2018, ma le aziende sembrano non essere ancora pronte. Questo è il dato principale che emerge dall’ultima ricerca Trend Micro, che rivela come i manager e i responsabili aziendali, i cosiddetti C-level Executives, non si stiano approcciando alla nuova normativa con l’adeguata serietà.

Condotta nel 2017 in partnership con Opinium coinvolgendo 1.132 decisori IT di aziende di 11 Paesi (tra cui l’Italia) con più di 500 dipendenti, la ricerca svela una robusta conoscenza dei principi del GDPR. Il 95% dei business leader è infatti consapevole di doversi adeguare al regolamento, l’85% ha studiato i suoi requisiti e il 79% è convinto che i propri dati siano già protetti al meglio.

Nonostante questa conoscenza percepita, c’è però confusione su come debbano essere esattamente protetti i dati personali (PII – Personally Identifiable Information). Il 64% del campione, ad esempio, non è a conoscenza che la data di nascita di un cliente è classificata come dato personale. Inoltre, il 42% non classificherebbe i database di e-mail come dati sensibili, il 32% non lo farebbe con gli indirizzi di domicilio e il 21% con l’indirizzo e-mail personale.

Questi risultati indicano che le aziende non sono in realtà così preparate o al sicuro come credono di essere. Al contrario, questi dati forniscono agli hacker tutto quello di cui hanno bisogno per commettere furti di identità e le aziende che non proteggono queste informazioni adeguatamente sono a rischio sanzione.

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Il 66% degli intervistati sembra inoltre non essere interessato all’eventuale somma che l’azienda sborserebbe in caso di mancata conformità ai requisiti di sicurezza previsti dal nuovo regolamento. Solo un 33% riconosce che l’azienda potrebbe essere costretta a sacrificare fino al 4% del fatturato annuo. Il 66% riconosce come le conseguenze peggiori in caso di violazione siano i danni reputazionali e il 46% ammette che questi danni avrebbero l’effetto peggiore sui clienti già esistenti.

La ricerca rivela inoltre che gli intervistati non sono sicuri su chi sarebbe responsabile in caso di perdita di dati EU da parte di un service provider USA. Solo il 14% identifica correttamente che la perdita di dati è una responsabilità di entrambe le parti. Il 51% ritiene infatti che la sanzione debba andare al proprietario europeo dei dati, mentre il 24% pensa che sia in torto il service provider USA.

C’è anche confusione su chi debba essere responsabile nell’assicurare la conformità con il GDPR. Per il 31% la responsabilità è del CEO, mentre per il 27% è del CISO e del team security. La realtà rivela che solo il 21% delle aziende ha un senior executive coinvolto nei processi del GDPR. Il 65% ha infatti coinvolto il dipartimento IT e solo il 22% ha coinvolto un manager.

Il GDPR afferma infine che le aziende devono implementare le tecnologie di ultima generazione in relazione al rischio che si corre. Nonostante questo, solo il 34% delle aziende ha implementato soluzioni avanzate per identificare le intrusioni, solo il 33% ha investito nella prevenzione delle perdite di dati e solo il 31% ha adottato tecnologie di crittografia.